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Pat Metheny – Tap / The Book of Angels vol. 20 (2013)

metheny_zornTzadik #8307

http://www.tzadik.com/

Nella monumentale produzione da compositore di John Zorn è ormai complicato districarsi, pur limitandosi alle sole opere più recenti (quasi tutte documentate dalla Tzadik), e senz’altro ai limiti dell’impossibile ascoltare integralmente i nuovi capitoli delle varie saghe. Giusto per esemplificare, con i Filmworks siamo più o meno a venticinque uscite discografiche, dei vari MASADA (in studio, live, anniversary edition del gruppo, 50esimo compleanno dell’autore e via dicendo) si contano una trentina di titoli.

Il lavoro appena uscito desta però un’interesse particolare, poichè affida il ventesimo volume dell’ideale seguito di MASADA, “The Book of Angels”, al plettro (e non solo) del quasi insospettabile Pat Metheny, lasciando per una volta nei box fidati collaboratori come Marc Ribot, Jamie Saft, Cyro Baptista… non temete, non li elencherò tutti.

Quasi insospettabile, perchè in realtà il chitarrista americano non è nuovo a brusche digressioni dalla sua brillante carriera principale, nella quale si afferma come musicista di riferimento nel moderno mainstream. Fra i progetti più avventurosi, basterà ricordare l’aspro “Song X” (1985) con Ornette Coleman, l’incredibile elogio del rumore “Zero Tolerance for Silence” in solo (1994), ed Electric Counterpoint di Steve Reich (1989) dove il virtuosismo di Pat arricchisce a livello armonico il tessuto minimalista della composizione, con il magistrale uso di 13 chitarre in sovrapposizione.

Ciò premesso, va detto che anche stavolta, pur se il lavoro non mostra sempre uguale intensità, la scommessa è da considerarsi vinta. Metheny riesce a calarsi con la dovuta concentrazione nella sottesa spiritualità delle composizioni proposte, lasciandovi il proprio segno distintivo con la leggera naturalezza che lo contraddistingue. Grande impatto già in apertura con Mastema, dove spicca nell’arsenale di strumenti modificati la Sitar Guitar attorniata da sonorità appena distorte, il tutto ben sostenuto dal potente drumming di Antonio Sanchez. Si prende fiato con l’acustica Albim, dove il tipico sapore ebraico delle frasi è declamato con tono sommesso, reso ancor più malinconico dall’uso del bandoneon: il lavoro percussivo si svolge principalmente con uso di spazzola e piatti.

In Tharsis lo svolgimento è più lineare, e dopo l’esposizione del tema Pat indulge nell’uso delle timbriche che rappresentano da tempo il tratto caratteristico di molti dei suoi assolo. Degna di nota, nella successiva Sariel, soprattutto la parte conclusiva che gradualmente trasforma l’impianto del brano in un intenso sprazzo di pura impro, con annessa (apparente) perdita di controllo degli eventi.

Ancora un respiro profondo con Phanuel, forse l’episodio più riuscito nella sua alternanza di lievi cupezze e aperture più aeree, col materiale tematico sapientemente occultato da suggestive tessiture landscape; a chiudere il tutto la spiazzante Hurmiz, che confeziona un finale fuori contesto e sotto tono, con Metheny impegnato soprattutto alle tastiere, dove mostra tecnica poco ortodossa e alquanto approssimativa, in una febbrile improvvisazione di 6′ circa che si conclude con l’urletto di una voce infantile (la figlia di Pat). Certo, un musicista di tale statura può concedersi anche di strafare, ma se la piccolina avesse detto stop, come sembra, non potremmo che essere d’accordo, per una volta…..

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In the monumental production by composer John Zorn is now difficult to disentangle, even confining itself only to the most recent works (almost all documented by Tzadik), and certainly to the limits of the impossible listen in full the new chapters of the various sagas. Just to illustrate, with Filmworks we have more or less twenty-five record releases, of the various MASADA (in the studio, live, anniversary edition of the group, the 50th birthday of the author, and so on) there are about thirty titles.
 
The work just released, however, arouses particular interest, as it relies on the plectrum (and not only) of almost unsuspected Pat Metheny, the twentieth volume of the ideal following of MASADA, “The Book of Angels”, leaving for a time in the box trust collaborators such as Marc Ribot, Jamie Saft, Cyro Baptista … do not worry, will not list them all.
 
Almost unexpected, because in reality the American guitarist is no stranger to sudden digressions from his main career, which states him as a reference musician in the modern mainstream. Among the projects more adventurous, enough to recall the sharp “Song X” (1985) with Ornette Coleman, the incredible praise of noise “Zero Tolerance for Silence” solo (1994), and Electric Counterpoint by Steve Reich (1989) where the virtuosity of Pat enriches the minimalist tissue of the composition, with the masterful use of 13 overlapping guitars.
 
That said, it must be said that this time, even if the work does not always show the same intensity, the bet is considered won. Metheny goes, with due concentration, into underlying spirituality of the proposed compositions, leaving his distinctive mark with the natural light that characterizes him. Great impact already in the opening with Mastema, where it detaches in the arsenal of modified tools the Sitar Guitar, surrounded by sounds just distorted, all well supported by the powerful drumming of Antonio Sanchez. It takes a breath with the acoustics Albim, where the typical taste of the Hebrew phrase is recited in a hushed tone, made even sadder by the use of the bandoneon: percussive work is mainly carried out with the use of brush and cymbals.
 
Tharsis is more linear, and after the presentation of the theme Pat indulges in the use of timbre that represent long been the hallmark of many of his solos. Worthy of note, in the subsequent Sariel, especially the concluding part that gradually transforms the song into an intense flash of pure impro, with attached (apparent) loss of control of the events.
 
Another deep breath with Phanuel, perhaps the most successful episode in its alternation of delicate darkness and light, with thematic material cleverly occulted by suggestive landscape textures; close all the bewildering Hurmiz, which packs a final out of context and under tone, with Metheny engaged especially on keyboards, where he shows unorthodox and somewhat rough tecnique, in a feverish improvisation about 6′ long, closing with a little scream of a child’s voice (the daughter of Pat). Of course, a musician of such stature can also enjoy overdoing it, but if the little girl had said stop, as it seems, we could not but agree, for once …..

Pat Metheny: Orchestra Bells, Orchestrionic Marimba, Keyboards, Piano, Bass, Tiples, Sitar Guitar, Baritone Guitar, Acoustic And Electric Guitars, Bandoneon, Percussion, Electronics, Flugelhorn
Antonio Sanchez: Drums

1. Mastema
2. Albim
3. Tharsis
4. Sariel
5. Phanuel
6. Hurmiz

Roccella Jazz Festival 2013 (6) – Gabriele Coen Jewish Experience

Ancora un doppio concerto, il 20 agosto, al porto delle Grazie, e l’avvio della serata è in piena sintonia con il tema conduttore del Festival. Va in scena Gabriele Coen 

Gabriele Coen
Gabriele Coen

con il suo “Yiddish Melodies in Jazz”, a mettere in evidenza una delle molteplici possibilità di interazione fra musica ebraica e jazz. I temi proposti, in alcuni casi, hanno già visto in passato la riproposizione ad opera di Benny Goodman, ma le scelte interpretative sono in verità assai diverse dal puro swing. Il sassofonista romano, infatti, è alla guida di un sestetto ben amalgamato che, per impostazione timbrica e tessitura musicale, si colloca in posizione intermedia tra le formazioni elettriche e quella “classica” in quartetto dell’esperienza MASADA, con l’ospite Francesco Lento alla tromba a sostenere il ruolo che lì ricopre Dave Douglas. Non a caso, il progetto di Coen ha visto la pubblicazione in CD per la Tzadik.

Pietro Lussu
Pietro Lussu

Date le coordinate di riferimento, va detto che il set, pur essendo ben carico dal punto di vista energetico, non raggiunge certo il furore intepretativo e la libertà improvvisativa che caratterizzano i due gruppi guidati da John Zorn (e non è detto che sia un male, a ciascuno il suo….). La musica qui è di fatto più lineare, gli interventi solistici ben misurati: oltre al leader, si mette in particolare luce il chitarrista Lutte Berg,

Lutte Berg
Lutte Berg

che sfrutta con grande efficacia gli spazi a disposizione. “Yiddish Melodies in Jazz” si muove quindi in un alveo ben definito, non particolarmente originale o innovativo, ma senz’altro valido dal punto di vista strumentale e della piacevolezza d’ascolto.

Gabriele Coen sax tenore, soprano, clarinetto
Pietro Lussu pianoforte
Lutte Berg chitarra elettrica
Marco Loddo contrabbasso
Luca Caponi batteria
ospite Francesco Lento tromba

Foto di Anna Clara D’Aponte

Slivovitz – Hubris

026

MJR026

(2009)

Seconda prova discografica per il combo napoletano, che a distanza di cinque anni (in realtà solo tre, se consideriamo le date di registrazione) dall’album d’esordio mostra di aver affinato ulteriormente le già notevoli armi tecniche, e soprattutto fortificato le trame compositive, concise e riccamente articolate al tempo stesso, giuste nel minutaggio.

Nei nove pezzi che costituiscono il corpus principale di questo Hubris, il gruppo, ampliato a settetto con l’inserimento della vocalist Ludovica Manzo, mette a punto un percorso sonoro lucido, che dipana dalle mille influenze (dichiarate e no) una coerente e personale trama meticcia.

Il viaggio parte in quarta, con un possente giro di basso ad introdurre una Zorn a Surriento (già il titolo è da applausi…) che non sfigurerebbe nel monumentale repertorio Masada, e arriva a destinazione al ritmo funky-vintage di STRESS, con testo cantato/declamato dal sassofonista e front man Pietro Santangelo.

Nel mezzo, il gustoso mix african-hawaian-progressive di Caldo Bagno, punteggiato da eleganti melismi e da un efficace guitar solo, l’ombra dei Lounge Lizard nell’andamento zoppicante e astratto (monkiano?) di Mangiare, le sommesse memorie canterburiane in Errore di Parallasse e Né carne Né pesce, l’esplicito e movimentato omaggio agli eccezionali ungheresi Besh o droM (Dammi Un Besh O) con  il violino di Villari e l’armonica “sporca” di Di Perri in evidenza.

I sette strumentisti (ché anche la vocalist agisce in tal senso) mostrano una compattezza notevole, dividendosi gli spazi solistici con parca e paritaria misura, il che giova decisamente alla qualità e all’impatto coinvolgente del prodotto finale.

A completare il CD, con inconsueta scelta produttiva, tre brani provenienti dal primo disco, rimasterizzati per l’occasione.

Alfonso Tregua

  1. Zorn a Surriento (Pietro Santangelo) (4:49)
  2. Caldo Bagno (Giannini / Manzo ) (7:31)
  3. Mangiare (Pietro Santangelo) (5:40)
  4. Errore di Parallasse (Stefano Costanzo) (5:58)
  5. Né Carne (Marcello Giannini) (4:02)
  6. Né Pesce (Marcello Giannini) (4:32)
  7. Dammi Un Besh O (Marcello Giannini) (6:13)
  8. CO2 (Domenico Angarano) (3:57)
  9. Sono Tranquillo Eppure Spesso Strillo (Pietro Santangelo) (4:44)

10.  Canguri in 5 (Giannini / Santangelo) (8:45)*

11.  Tilde (Stefano Costanzo) (8:53)*

12.  Sig. M. Rapito dal Vento (Angarano / Di Perri / Giannini / Santangelo) (5:47)

Domenico Angarano electric bass, fretless bass;

Stefano Costanzo drums and percussion;

Marcello Giannini electric guitar, acoustic guitar;

Ludovica Manzo vocals;

Derek Di Perri harmonica;

Pietro Santangelo alto saxophone, tenor saxophone, vocals;

Riccardo Villari violin

with guests:

Giovanni Imparato percussions and vocals (Caldo Bagno);

Marco Pezzenati vibraphone (Mangiare);

Ugo Santangelo Acoustic Guitar (CO2)

Recorded in Naples, Italy in 2007, except * recorded in 2004.
Produced by Slivovitz & Luca Barassi

The Wrong Object – Stories from the Shed

di Alfonso Tregua

018MJR018 – 2008

Disco dall’impatto notevolissimo, questo “Stories From The Shed” è un compendio della ricca inventiva del chitarrista belga Michel Delville, autore della maggior parte dei brani, affiancato da un efficace e rodato quartetto con il quale vanta prestigiose collaborazioni dal vivo (Elton Dean, Harry Beckett, Annie Whitehead e Ed Mann fra gli altri).

La scelta di registrare “live” in studio, senza alcun uso di sovraincisioni, è indice di grande padronanza e sicurezza, e garantisce fluidità all’ascolto, lasciando spazio ad un uso equilibrato dell’improvvisazione, in un impianto comunque costruito in maniera assai meticolosa.

Difficilissimo citare un’influenza diretta: in filigrana traspare un percorso che va dall’art-rock al progressive per approdare al jazz europeo di matrice contemporanea; affiorano qua e là frammenti di Zappa, del Dr. Nerve, dei progetti Masada di John Zorn, ma il tutto è sminuzzato e rielaborato in maniera personale.

Melodie sghembe e fraseggi intricati, una creativa attitudine a spiazzare l’ascoltatore, continue sorprese timbriche nella fitta tessitura, che pur essendo alquanto complicata non smarrisce quasi mai il filo rosso della coerenza, sono gli elementi caratteristici di questo lavoro, in più punti davvero riuscito e coinvolgente.

Pur ricordando a sprazzi, nei momenti ad elevata energia, il Terye Rypdal più duro, Delville rivela anche una personale e feconda voce strumentale, parca nell’uso degli effetti; scevro dal narcisismo per gran parte del disco, si concede con parsimonia l’occhio di bue, come nel conclusivo The Unbelievable Truth – part II (brano già proposto in versione live nel pregevolissimo side-project “Elton Dean & The Wrong Object – The Unbelievable Truth”).

Fra gli altri, merita particolare menzione Laurent Dechambre, con il suo drumming irregolare e fantasioso, seppur solidissimo nella pulsazione ritmica, che sostiene ed integra il percorso sonoro dei solisti, senza limitarsi ad accompagnarlo.

Tirando le somme, al di là di qualche episodico calo di intensità, un disco da raccomandare, un invito a sfuggire alle ovattate confezioni dei soliti noti, un ascolto che può rappresentare una salutare sferzata per molti apparati auricolari.

  1. Sonic Riot At The Holy Palate
  2. 15/05
  3. Sheepwrecked
  4. Acquiring the Taste
  5. Lifting Belly
  6. Malign Siesta
  7. Theresa’s Dress
  8. Rippling Stones
  9. Theresa’s Dress – Reprise
  10. Strangler Fig
  11. Waves and Radiations
  12. Saturn
  13. The Unbelievable Truth – Part I
  14. The Unbelievable Truth – Part II

Michel Delville electric & synth guitar, electronics

Fred Delplancq tenor sax

Jean-Paul Estiévenart trumpet

Damien Polard bass guitar, electronics

Laurent Delchambre drums, assorted percussion, samples, electronics

http://www.moonjune.com/

http://www.wrongobject.com/

http://www.myspace.com/wrongobject