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Beledo – Seriously Deep

MJR 118

Nuova uscita discografica per l’axeman uruguagio Beledo, qui in classico power trio con Tony Levin e Kenny Grohowski.

Il nucleo fondante del disco consta di un duplice omaggio a Eberhard Weber: in apertura la rilettura del classico ECM Seriously Deep (1978), lungo brano a firma del prodigioso contrabbassista, la cui carriera si è purtroppo interrotta nel 2007 a causa di severi problemi di salute. La trascrizione che ascoltiamo è sostanzialmente fedele all’originale, tonica ma senza essere eccessivamente muscolare, e rende quindi nel miglior modo la quieta atmosfera che a suo tempo affascinò il giovane Beledo ed il suo amico Jorge Camuraga, che ritroviamo come ospite al vibrafono in Maggie’s Sunrise, il secondo hommage, brano del leader che nell’impostazione e svolgimento richiama i modelli compositivi del dedicatario. In questa circostanza Beledo si mette in luce (come nella title track) nell’insolita veste di pianista, mostrando anche su questo strumento chiaro talento con un solo fluido ed armonioso.

Abbiamo poi due brani vocali: in Mama D il testo di Beledo narra le vicende della cantante sudafricana Dorothy Masuka. La voce dal timbro brillante è quella di Kearoma Rantao, il guitar solo piazzato qui è invero micidiale. Più etereo e tipicamente seventy è A temple in the Valley, dove sono i vocalizzi di Boris Savoldelli a tratteggiare una lunga e solenne minisuite, dieci minuti di rara efficacia emotiva, grazie alle eccellenti performances del leader e del vocalist bresciano, qui davvero al meglio del suo ventaglio espressivo.

Infine, un terzo blocco del disco è costituito da due impro collettive, ormai da tempo prassi consolidata per le uscite Moonjune: la vivace e funkeggiante Into the Spirals, che chiude il disco, dove il trio appare ben coeso e in the groove; e la più lunga e strutturata Knocking Waves, che apre con un lungo e spazioso landscape elettronico, dal quale emerge poi Tony Levin a dettare uno sviluppo che rende via via più densa la trama sonora, che nel finale assume toni vigorosi per poi lentamente spegnersi.

Un lavoro vario, articolato, maturo sul piano compositivo ed eccellente nella qualità delle prestazioni strumentali. Recommended record.

  1. Seriously Deep
  2. Mama D
  3. Coasting Zone
  4. Maggie’s Sunrise
  5. Knocking Waves
  6. A Temple in the Valley
  7. Into the Spirals

Beledo – electric guitar, acoustic piano

Tony Levin – upright bass, bass guitar

Kenny Grohowski – drums

Guests: Jorge Camiruaga vibraphone (4) – Kearoma Rantao vocals (2) – Boris Savoldelli (6)

 

Freschi di stampa (Febbraio)

Fermo da mesi per l’impossibilità fisica di recensire adeguatamente la mole enorme di materiali accumulati, il blog(ger) prova a tornare in attività con una formula nuova: veloci segnalazioni di una o più novità discografiche giunte in redazione, scelte fra quelle che già al primo ascolto hanno impressionato positivamente.

Si parte con una (strana) coppia:

Emanuele Parrini – The Blessed Prince

con il violinista a capo di un quartetto che ne sostiene adeguatamente l’ormai consolidata maturità

e Beledo – Dreamland Mechanism

godibilissimo e variegato negli stili, è il debutto per Moonjune del talentoso chitarrista uruguagio, già recensito su queste pagine per il suo precedente album On a Mission

Buon ascolto

 

The Avengers – On A Mission

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Quartetto di chiara impronta elettrica, The Avengers è guidato dalla fluida mano di Beledo. Autore dell’intero repertorio, fatta eccezione per la cover di Portia, l’axeman sudamericano è affiancato da tre solidissimi musicisti: spicca la presenza del tastierista Adam Holzmann, già collaboratore di Miles Davis negli anni ’80. Efficace anche la sezione ritmica, pur se mai in primo piano, con il duttile Lincoln Goines al basso ed il preciso drumming di Kim Plainfield.

Fra i brani più interessanti, la serrata On A Mission, posta in apertura, dove il chitarrista uruguagio paga un breve ma chiaro tributo ad Allan Holdsworth, sua evidente fonte di ispirazione anche per la successiva ballad After All. Ben riuscito inoltre il simil-tango sincopato di Rauleando, e la conclusiva Jimmy O’Donnell’s Air, dalla frase sottilmente malinconica, da cui si avvia poi un tappeto funky a sostegno dell’ incisivo sviluppo, con Holzmann a sostenere il finale.

Ben calibrato negli interventi solistici, con la sei corde e i synth a svolgere un ruolo pressochè paritario, il disco regala un ascolto piacevole, a tratti coivolgente. Le trame non riservano particolari sorprese o innovazioni, restando nell’alveo del jazz-rock classico, ma la qualità tecnica elevata dei quattro strumentisti determina comunque un buon prodotto finale.