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Markus Reuter Oculus – Nothing is Sacred

MJR 105

Un lavoro molto particolare, questo NIS a firma del Markus Reuter OCULUS. Il progetto appare all’ascolto totalmente improvvisato, ma in realtà dal punto di vista compositivo è interamente attribuito al leader. In pratica vengono date ai musicisti regole atte a non consentire il processo improvvisativo in termini canonici; lo scopo è creare comunque armonie e melodie inconsuete, ma all’interno di una griglia ritmica e tessitura sonora unificanti, rappresentate (forse) dal semplice schema riportato nell’interno di copertina.

Il quartetto di base che agisce durante la performance è il power trio con l’aggiunta del violino di David Cross. A questo strato sonoro di partenza si aggiungono poi le sovraicisioni di Mark Wingfield e Robert Rich.

Il risultato è un saporito calderone di pietanze, una sorta di ripresa del primo Miles elettrico mescolato con l’immancabile filone crimsoniano.  L’alto tasso energetico garantito dal poderoso drive di Asaf Sirkis trova ideale contrappunto nell’altrettanto potente spinta dei pattern neo funky del basso di Fabio Trentini.  All’interno di questo tessuto vengono poi ricamate le classiche texture-landscape, che il chitarrista tedesco ha ormai “metabolizzato” in tutta la sua produzione: in tal senso, la title track compendia la sostanza sonora appena descritta, mantenendo un’impronta assolutamente prog, e scatenando ovviamente gli efficacissimi guitar solo del leader e di Mark Wingfield, fino a smarrire leggermente il controllo intorno ai 10′, con Trentin a riprendere poi le fila della coerenza espressiva fino al graduale dissiparsi dei suoni nel finale.

The Occult parte e si svolge più pacato per la prima metà, un po’ come un Thela Hun Ginjeet leggermente rallentato, con le percussioni a disegnare uno spazio ampio e circolare dove innestare poi le textures: la trama sonora si potenzia e infittisce poi nella seconda parte del brano, sempre innescata dal groove dettato da Trentin.

Come un Giano bifronte, quasi a prendere un lungo, meditativo respiro le precedenti scorribande, il resto del disco vede dilatate sonorità space-age quale principale essenza di Bubble Bubble Bath (Wink), e della successiva Solve et Coagula, più corposa nell’insieme ma egualmente rilassata. Basso e batteria distillano con più parsimonia gli interventi, giocati più in chiave coloristica che ritmica. E a degna chiusura di questo lavoro Bubble Bubble Bubble Song (Sighs), caratterizzata nel finale dal toccante timbro del violino di David Cross.

Nothing is Sacred (Dice II) – The Occult (Dice I) – Bubble Bubble Bubble Bath (Wink) – Solve et Coagula (Ghost I) – Bubble Bubble Bubble Song (Sighs).

Markus Reuter: Touch Guitars® AU8, soundscapes, keyboards                                                     David Cross: Fender Rhodes, electric violin                                                                                         Fabio Trentini: bass                                                                                                                                              Asaf Sirkis: drums, percussion                                                                                                                    Mark Wingfield: electric guitar                                                                                                                  Robert Rich: textures.

Sirkis/Bialas IQ – Our New Earth

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MJR 099

Ad un passo dal fatidico n.100 di catalogo, Moonjune records propone questo doppio CD del Sirkis/Bialas IQ

Si apre con If Pegasus had one wing…, vivace, ben articolato nella struttura e ricco di controtempo nella costruzione (poli)ritmica, a richiamare la lezione del maestro Bill Bruford, che non a caso firma qui le note di copertina. La nitida vocalità di Sylwia Bialas è anch’essa un chiaro segno del percorso canterburyano, melodia che subito cattura pur nella sua complessità. In Land of Oblivion il suono del vento e il tocco astratto/improvvisato della sei corde bassa di Kevin Glasgow danno corpo al brano fino all’arrivo della voce, che in forma di delicata e narrativa ballad declina un succinto e poetico testo, apprezzabile grazie alla traduzione in inglese “a specchio” sull’elegante libretto, essendo le liriche originali composte e interpretate in lingua polacca. Sostanza analoga anche nel successivo Letter to A., caratterizzato timbricamente dal pesante suono dell’organo a canne e del fender che lo rimpiazza a metà brano; su tutto, la magistrale coloritura percussionistica di Asaf Sirkis, dentro/fuori/a lato del tempo, a intrecciare la trama vocale in un epico finale.

Si continua con il fresco e rilassato andamento di Reminescence, ed a chiudere il primo disco Chiaroscuro, di nuovo giocato su toni sommessi e notturni: entrambi i brani mettono in evidenza l’estro di Frank Harrison, autore di due fluidi e poderosi solo di chiaro e puro stampo jazzistico.

In apertura del secondo disco troviamo il nucleo fondante di questo lavoro, i 20 minuti di The Earth Suite, dove la vocalità della Bialas (senza testo nella circostanza) richiama a tratti quella di Iva Bittova: la parte più intensa e significativa corrisponde alla prima metà della title-track, con il lento incedere scandito dal canto konnakol di Asaf, appena sostenuto da un bordone e da campanelli, che si incrocia poi con quello di Sylwia in un minimale ed ipnotico sviluppo.

Ultime citazioni per Spooky Action at The Distance, assai significativa e densa, iniziamente in forma di strumentale assorto e ondivago a metà strada fra Tangerine Dream e Ligeti, che trova poi gradualmente corpo e ritmo nell’interazione fra i due co-leader, che lasciano infine la ribalta ancora al buon estro di Frank con il suo liquido Fender piano; e per la clamorosa chiusura, drum solo e ancora canto sillabico, del brano finale Picture from a Polish Wood.

Nell’insieme, il quartetto (formatosi nel 2014) pur muovendosi nell’ambito di genere rappresentativo e caratteristico di molte uscite dell’etichetta di Leo Pavkovic, in questa uscita discografica dà prova di consolidata e definitiva maturità, consegnando un ascolto interessante sia sul versante emotivo che per qualità delle prestazioni strumentali.

  1. If Pegasus Had One Wing (He Would Fly In Spirals) – 6:10
  2. Land Of Oblivion – 8:17
  3. Letter To A. – 8:56
  4. Reminiscence – 6:03
  5. Chiaroscuro – 7:54
  6. Rooting – 8:49
  7. Our New Earth – 11:17
  8. Message From The Blue Bird – 5:45
  9. Spooky Action At The Distance – 8:03
  10. Nocturnity – 5:13
  11. Picture From A Polish Wood – 7:36

ASAF SIRKIS: drums (all tracks), crotales (3, 6, 7,10), konnakol (7, 11), Manjira (7), frame drums (7)
SYLVIA BIALAS: voice (all tracks), waterphone (7, 9), overtone singing (6), lyrics (1, 2, 5, 10), konnakol (7)
FRANK HARRISON: piano (1, 2, 4, 5, 6 ,8, 10), keyboards (1, 2, 3, 7, 9, 11)
KEVIN GLASGOW: six string electric bass (all tracks)

Freschi di stampa (Febbraio 3)_Wingfield Reuter Stavi Sirkis_The Stone House

Totalmente improvvisato in studio, senza sovraincisioni e con un missaggio che non ha operato ritocchi sostanziali, lasciando anche alcune minuscole pecche, ad esempio in alcune brusche cesure dei finali

The Stone House

risulta, fin dal primo ascolto, ricco di momenti riusciti e trascinanti (su tutti Silver), a dimostrazione che l’impro totale non è appannaggio esclusivo dei musicisti di estrazione più strettamente jazzistica, ma può produrre validi frutti anche in ambito prog.