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ITALIAN INSTABILE ORCHESTRA parte II – Live with Cecil Taylor in S. Anna Arresi 2003

Dopo l’Italian Instabile Festival tenuto a Pisa nel 1997, documentato da un doppio CD della Leo Records, viene celebrato il decennale dell’Orchestra (che nel frattempo ha rimpiazzato Giorgio Gaslini con Umberto Petrin) con una nuova eccellente produzione discografica: fra il 6 e l’8 marzo 2000, nella Sala B dell’Auditorium RAI di Roma, viene registrato il materiale di “Litania sibilante” che vede la pubblicazione per la ENJA. L’Instabile è ampliata, per l’occasione, dalla fisarmonica di Antonello Salis e dalla tromba di Enrico Rava, che affianca la sezione solitamente affidata a Minafra, Mazzon e Mandarini. La sessione del 7 marzo viene trasmessa in diretta da Radio 3.

Qualche mese dopo (settembre 2000), al Talos festival di Ruvo di Puglia, l’Orchestra si confronta per la prima volta con le “partiture” e le masse sonore del piano di Cecil Taylor: la registrazione del concerto sarà pubblicata solo tre anni dopo, sempre per la ENJA. “The Owner of the River Bank” è un flusso sonoro ininterrotto di una sessantina di minuti, ben descritto da questa recensione. Per approfondire le dinamiche preparatorie all’evento, sono illuminanti le note di copertina di Marcello Lorrai, riportate integralmente di seguito a questa seconda breve recensione

Dopo Ruvo, L’Orchestra e il pianista si esibiranno quindi ancora insieme per due volte: nel marzo 2002, a Parigi per Banlieues Blues, e il 6 settembre 2003, al Festival di S.Anna Arresi. La registrazione di quest’ultimo bellissimo concerto (anche stavolta messo in onda da Radio 3 Rai), è disponibile a questo link.

 

Italian Instabile Orchestra – parte I – play Marcello Melis

ITALIAN INSTABILE ORCHESTRA

Una maxi-orchestra italiana sullo stampo di analoghe formazioni europee, nata nel 1990, in occasione dell’Europa Jazz Festival a Noci, da un’idea di Pino Minafra. Quando nel 1992 la Leo Records pubblica il loro primo disco, “live in Noci and Rive de Gier” registrato da Radio France, è grande la fascinazione e la curiosità nella lettura dell’organico.

Cosa verrà fuori, dall’incontro di tante personalità così forti? La sfida di questo large ensemble è quella di voler lavorare su criteri egualitari, senza un leader fisso: in questo, più simile alla Globe Unity che ai Centipede.

I sei brani vedono infatti alternarsi sei diversi compositori: Damiani, Colombo, Schiaffini, Gaslini, Minafra, Tommaso. Il risultato è un flusso di segnali disparati, dove forme libere, parti strutturate, musica da circo, danze, declamazioni nostalgiche e umoristiche si alternano con un risultato complessivo sorprendente e ammaliante nella sua imperfezione. Un’ideale rappresentazione sonora del principio di indeterminazione di Heisenberg: impossibile, anche qui, descrivere con precisione gli eventi simultanei, e ancor meno il loro divenire (quantomeno al primo ascolto….). Il tutto resta comunque chiaro e intellegibile, lontano dalle tagliole estenuanti di certa impro radicale. Senza disdegnare le prove di forza spettacolari, come gli assolo di Colombo e Trovesi ne “I virtuosi di Noci”. Il primo passo è compiuto, in entrambi i sensi.

Il secondo CD esce nel 1995, “Skies of Europe”: registrazione di studio (auditorium F.L.O.G.) a Firenze, pubblicato dalla ECM, consta di due lunghe composizioni di Tommaso e Gaslini.

Bella confezione e libretto ben curato, presa del suono di elevata qualità, come è negli standard dell’etichetta tedesca, precisione esecutiva, e grande pulizia stilistica nella costruzione. Visti i presupposti, il disco è un successo annunciato di pubblico e critica: tra l’altro, miglior CD dell’anno per Musica Jazz.

Il contraltare è l’inevitabile ingabbiamento causato dall’estetica eicheriana, al quale nemmeno la IIO riesce a sfuggire, perdendo la baldanza un po’ gaglioffa e l’attitudine al rischio della prova precedente, sia nella enfatica solennità dei temi de “Il maestro muratore” che nella scelta di lavorare spesso con organico ridotto (dal duo al quartetto) nella lunga suite di Gaslini che dà il titolo all’album.

Fatto sta che, fin dal successivo “European Concerts ’94-’97” l’Orchestra ritorna ad incarnare quell’atteggiamento che Marcello Lorrai definisce come “filosofia dell’imprevisto”1, e che sarà portato avanti negli anni successivi in una progressiva affermazione che porterà “il manipolo di irregolari”1 ad una ricca attività concertistica internazionale. Questo terzo disco si apre con la riproposizione di Sud, composizione del 1973 di Mario Schiano che (parole sue) “coronava una ricerca sui possibili agganci del jazz con la musica popolare, in particolare del meridione, condotta assieme a Marcello Melis.” E una tappa assai interessante del cammino dell’Instabile, nell’ovvia cornice di S. Anna Arresi, sarà dedicata qualche anno dopo proprio al contrabbassista sardo. Per l’occasione, ospite dell’Orchestra la vocalist Clara Murtas. La data è il 4 settembre 2003, e un breve ma corposo estratto (messo in onda da Radio 3 Rai) si può ascoltare a questo link.

1 dalle note di copertina di European Concerts 94-97

Wayne Shorter 5 – Dal 1995 al 2005 # Wayne Shorter Acoustic Quartet #

La conclusione della grande parabola creativa che va sotto il nome Weather Report, avvenuta nel 1986 con la pubblicazione dell’atto finale This is This, apre per Wayne Shorter un periodo di transizione, meno felice e rilevante rispetto alla stagione appena terminata. Dopo tre dischi interlocutori per la Columbia (l’ultimo è Joy Rider, edito nel 1988), incisi probabilmente più per esigenze contrattuali che creative, nei successivi sei anni il musicista resta praticamente in silenzio.

Il momento di svolta è il 1994, quando avviene il passaggio alla Verve. High Life è il primo disco con la nuova etichetta: Wayne si avvale della collaborazione di Marcus Miller, Rachel Z e David Gilmore per confezionare un prodotto nel quale è evidente soprattutto l’apporto del grande bassista elettrico, che giocò un ruolo fondamentale anche nella carriera dell’ultimo Miles Davis (un titolo per tutti, Tutu).

A seguito di questa uscita, riprende anche l’attività concertistica; fra il 1995 e il 1996, una serie di organici variabili con i quali il nostro mette a punto progressivamente l’impianto e la qualità del nuovo corso. Col senno di poi, una sorta di laboratorio/incubatore che porterà alla luce, qualche anno dopo, l’attuale e strepitoso quartetto. Il 1996 resta purtroppo da ricordare anche per la tragica scomparsa della moglie di Shorter, Ana Maria, morta in un incidente aereo.

Nel 1997 prende corpo l’ennesima collaborazione al di fuori dell’ambito jazzistico, tema ricorrente nella carriera del sassofonista (da menzionare, fra le “strane coppie” più riuscite in anni precedenti, quella con Joni Mitchell, con Pino Daniele e con Carlos Santana); stavolta l’occasione si presenta con i Rolling Stones, per l’uscita di Bridges to Babylon. Nello stesso anno, tappa ben più importante è 1+1, intimistico lavoro in duo con Herbie Hancock: il riuscito (re)incontro darà vita ad un vero e proprio live tour, protrattosi fino al 1998.

La collaborazione alla discografia del pianista continua anche negli anni a venire, con il sax di Wayne a fornire il suo contributo in altri due album: Gershwin’s world, sempre nel 1998, e Future 2 Future tre anni dopo. Nello stesso 2001 un ulteriore incontro con Marcus Miller per la realizzazione di M2, a firma del bassista, e infine la svolta che riporterà il maestro di Newark ai livelli di eccellenza che gli competono, con la definitiva istituzione del Wayne Shorter Acoustic Quartet.

La line-up vede al piano il panamense Danilo Perez, tocco nitido e personale, elevato livello di concentrazione e intensità esecutiva; al contrabbasso John Patitucci, fra i più spettacolari virtuosi dello strumento, che trova in questo ensemble una definitiva consacrazione come musicista a tutto tondo, superando alcune concessioni al mero tecnicismo che avevano caratterizzato la sua precedente produzione; alla batteria l’ottimo Brian Blade, giunto ai territori jazzistici dopo aver suonato in ambiti assai diversi, in prevalenza pop e country music (collaborazioni con Bob Dylan, Emmylou Harris e la già citata Joni Mitchell): precisione, fantasia e personalità nel dettare i cambi di tempo e di atmosfera le sue peculiari prerogative, una voce freschissima e originale a completare l’alchimia di questo gruppo.

Numerose le performance live memorabili per il telepatico interplay, nonostante le difficoltà insite nel proporre una materia sonora minimale e densa al tempo stesso, ricca di emergenze del passato ma costantemente proiettata in avanti, alla ricerca di (altre) nuove direzioni. Una scelta ovviamente limitata e parziale di questo fecondo periodo è documentata in Footprints – Live, nel quale sono raccolte tracce registrate da diverse esibizioni, fra il 2001 e il 2002, in Francia, Spagna e Italia. Per la verità la musica del quartetto ha più le caratteristiche del continuum piuttosto che di un canonico repertorio; miglior testimonianza sarebbe stata forse la ripresa integrale di un singolo concerto, sacrificando in nome dell’unitarietà le eventuali pecche dell’una o dell’altra esecuzione.

Nel 2003 nuovo momento chiave, la pubblicazione di Alegria, un lavoro importante e ambizioso: Shorter, qui in veste di arrangiatore oltre che strumentista, non utilizza soltanto l’ormai rodata compagine a quattro, ma amplia l’organico in chiave orchestrale, con ampie sezioni di ottoni, ance ed archi. Nel complesso prendono parte al lavoro una trentina di musicisti (tra i quali spiccano Chris Potter e Brad Mehldau). Sorprendente il materiale proposto, in equilibrio fra composizioni originali e incursioni nel repertorio classico (una per tutte, la n. 5 delle Bachianas Brasileiras di Villa-Lobos). L’album riscuote i favori del pubblico e i riconoscimenti della critica, tra i quali un Grammy Award.

Ancora attività concertistica nel 2004, in prevalenza con l’Acoustic Quartet ed episodicamente con una formazione all-stars, che vede Shorter e Blade affiancati da Herbie Hancock e Dave Holland; immutato l’approccio, alta la qualità in entrambi i casi. Ulteriore ed importante testimonianza discografica, nel giugno 2005 l’uscita di un nuova raccolta live, Beyond The Sound Barrier, che documenta le esibizioni del quartetto stabile nel periodo Novembre 2002 – Aprile 2004.

Wayne Shorter 4 – Il periodo Weather Report (1971 – 1986)

Sullo slancio dell’ormai conclusa esperienza con Miles Davis, il cui termine per Shorter coincide con alcune esibizioni live di poco successive alla pubblicazione di Bitches Brew (1970), Wayne organizza un connubio artistico con il tastierista austriaco Joe Zawinul, rincontrato dopo dieci anni durante la registrazione di In A Silent Way (1969). Nell’avventura è coinvolto anche Miroslav Vitous, giovane ma già personalissimo contrabbassista.

Il progetto, a nome Weather Report, prende il via nel 1971 con l’uscita del primo, omonimo lavoro, nel quale i leader sono affiancati da Al Mouzon alla batteria e Airto Moreira alle percussioni. La lezione delle directions in music davisiane è evidente, ma viene puntualizzata con personalità, equilibrando alta energia ed elettricità con misurato lirismo. Nel conclusivo Eurydice, a propria firma, Shorter coniuga, in maniera esemplare e swingante, tradizione e nuove sonorità.

A seguire, nel 1972, I Sing The Body Electric, con Eric Gravatt a sostituire Mouzon e Dom Um Romao a rimpiazzare Airto. Il disco è un’anomala gemma, frutto di una peculiare costruzione: prima facciata del vinile registrata in studio, lato B formato da estratti di un concerto dal vivo a Tokyo (che sarà poi pubblicato integralmente come Live in Tokyo). Indimenticabile l’iniziale e struggente Unknown Soldier, ispirato da una terribile esperienza vissuta da Zawinul durante il secondo conflitto; la complessa struttura del brano è caratterizzata dal magistrale ed evocativo uso del sintetizzatore ARP 2600. La zampata di Shorter è The Moors, con la partecipazione del chitarrista Ralph Towner.

Ancora eccellenti, benché oltremodo diversi, Sweetnighter (1973) e Mysterious traveller (1974), con modifiche e ampliamenti d’organico; l’irripetibile magia del precedente lavoro si trasforma in ostinata ricerca ritmica e predilezione per brevi ed ipnotici riff. Il secondo dei dischi citati segna anche l’abbandono da parte di Miroslav Vitous, evidentemente non del tutto coinvolto nella nuova direzione musicale voluta da Zawinul.

La sostituzione di Vitous con il più funky-oriented Alphonso Johnson determina quindi una svolta radicale e definitiva, la cui prima testimonianza è la pubblicazione di Tale Spinnin’, del 1975. Nello stesso anno Shorter realizza anche un progetto da titolare con l’uscita di Native Dancer, pregevole incursione nei territori della musica brasiliana, in compagnia del cantante Milton Nascimento.

La definitiva maturazione del nuovo corso si concreterà, con eccezionale forza espressiva, nel capolavoro Black Market (1976), che fin dalla esplicativa immagine di copertina afferma la provenienza planetaria del proprio mix di suoni e ritmi, geniale e mirabolante. La title-track rappresenta probabilmente un vero e proprio paradigma estetico, Gibraltar è esaltante nei compositi cambi di ritmo ed atmosfera e nel trascinante finale, ma al di là dei singoli episodi è il risultato complessivo a manifestarsi emblematico e fondamentale, snodo cruciale per molteplici tendenze musicali negli anni a seguire. Nell’occasione Shorter sperimenta, nella sua enigmatica Three Clowns, il Lexicon, antesignano dei sintetizzatori controllati da strumenti a fiato.

Sempre nello stesso anno, con il successivo Heavy Weather, i Weather Report licenziano il disco forse più noto e popolare dell’intero percorso artistico. Nel pluripremiato album, fortunatissimo anche da un punto di vista commerciale, spicca il funambolismo strumentale di Jaco Pastorius, figura cardine nell’evoluzione del bassismo elettrico contemporaneo, la cui straripante musicalità mette talvolta sullo sfondo gli iniziatori del gruppo. Entrato con spavalda autorevolezza, a sostituire Alphonso Johnson in due soli pezzi di Black Market, ben presto Jaco si afferma come “il più grande bassista elettrico del mondo” (parole sue, ma è difficile dargli torto).

Mentre la successiva incisione in studio, Mr. Gone (1978) già suscita le prime perplessità negli addetti ai lavori, in questo periodo la band è al massimo del fulgore nell’attività live; il magnifico affiatamento in proposito è testimoniato dallo spettacolare doppio 8:30 (1979), con i tre fenomeni coadiuvati alla batteria da Peter Erskine.

Il disco è una vera e propria summa dei momenti più felici della parabola artistica del gruppo, che continuerà ad incidere, con minore ispirazione e fortuna, fino al 1986, anno del definitivo scioglimento. I Weather Report consegnano alla storia musicale una ricca discografia (16 album), ma soprattutto un determinante impulso alla costruzione di un originale e genuino movimento fusion che, prendendo le mosse dal jazz, lo contamina con gli stilemi del rock, aprendo nel contempo anche la strada all’utilizzo strutturale di timbri e sonorità provenienti dalle più svariate culture musicali.

Per Wayne Shorter si avvia una lunga fase di stallo, dalla quale ricostruirà con fatica una rinnovata identità e vena creativa, attraverso una graduale serie di passaggi che porteranno alla formazione del Wayne Shorter Acoustic Quartet.

Wayne Shorter 3 – Le collaborazioni con Miles Davis (1964 – 1970)

Il quintetto di impronta hard-bop che Miles Davis riunisce nella seconda metà degli anni ’50 si avvale del fondamentale apporto del sassofonista John Coltrane; la parabola artistica dello storico gruppo culmina nel 1959, con la svolta modale del capolavoro Kind Of Blue.

Quando John decide, all’inizio degli anni ’60, di lasciare Miles per dedicarsi ai propri progetti, individua in Wayne Shorter l’ideale erede del posto lasciato vacante, apprezzandone le doti di strumentista e compositore.

Di conseguenza Davis prende contatto nel 1960 con il sassofonista di Newark, che però nel frattempo ha ottenuto l’ingaggio nei Jazz Messengers. Da allora, il trombettista alterna nei suoi organici numerosi sax tenori, tra cui Hank Mobley, George Coleman e Sam Rivers, senza mai esserne pienamente soddisfatto. Dopo il tour giapponese dell’estate ’64, Miles viene a sapere che Shorter ha appena lasciato il gruppo di Art Blakey; perciò riprova a scritturarlo, e riesce nel suo intento.

La pervicacia di Davis viene così premiata, e la scelta si rivela molto felice: Wayne si integra alla perfezione con gli altri componenti del gruppo, che sono Herbie Hancock, Ron Carter e Tony Williams, talentuoso batterista appena diciannovenne. Negli anni successivi, il nuovo (da alcuni definito secondo) quintetto inciderà tre eccellenti album: E.S.P. (’65), Miles Smiles (’66), Sorcerer (’67), nei quali si assiste alla graduale dissoluzione del linguaggio hard-bop, accompagnata da un progressivo mutamento delle forme, che si affrancano dalle consuete sequenze armoniche con una libertà espressiva senza precedenti. In questa evoluzione gioca un ruolo importantissimo Shorter, con il suo decisivo contributo di compositore e arrangiatore.

L‘ultimo, e fondamentale, album acustico del gruppo è Nefertiti (1967), dove il processo innovativo sviluppato nei precedenti dischi arriva al suo apice. Il sassofonista firma ben tre dei sei brani: Pinocchio, la malinconica ed inquieta Fall, con i suoi brevi assolo spezzettati dal refrain, e soprattutto l’incredibile brano che dà il titolo all’album. Qui Shorter, utilizzando un procedimento analogo a quello di alcune opere grafiche di M. C. Escher, capovolge i ruoli di front-line (la figura) e sezione ritmica (lo sfondo): mentre sax e tromba eseguono, per tutto il brano, un’ostinata (benché mutevole negli accenti) ripetizione del tema, gli altri tre strumenti agiscono con grande autonomia, in un fluido fiume sonoro in cui il “solista” è Tony Williams, che disegna un incredibile numero di variazioni e fornisce una prestazione personale ineguagliabile.

Punto e a capo. Le successive incisioni, nel 1968, danno il via al periodo elettrico di Davis. Sono ben tre le sessioni realizzate nell’anno: Water Babies, Miles In The Sky e Filles De Kilimanjaro. Il quintetto si amplia insieme allo spettro sonoro. Raddoppiano i pianisti (Hancock e Corea, quest’ultimo al piano elettrico), il contrabbasso di Ron Carter è affiancato dal basso elettrico di Dave Holland, il chitarrista George Benson partecipa ad uno dei brani di Miles in The Sky. In questi dischi Davis affina l’uso dei nuovi timbri, e getta le basi per definire un nuovo punto cruciale nella storia del jazz: il 18 febbraio 1969, viene registrato In A Silent Way. Lunghissime, ipnotiche e rilassate composizioni, dal fluente incedere: alla ricchezza timbrica corrisponde una sempre più estrema semplificazione armonica, la pulsazione ritmica è uniforme ed immutabile. Gli interventi solistici di Shorter, che per la prima volta utilizza in un’incisione il sax soprano, sono modelli di intensità e misura.

Il taglio netto e irrevocabile con il passato si compie con l’album successivo, Bitches Brew (1969-70). L’organico aumenta a dismisura, con alternanza di vari batteristi e percussionisti, moltiplicazione di ance e tastiere, basso elettrico, contrabbasso e chitarra elettrica. La quiete del lavoro precedente lascia il posto ad un’esplosiva energia, il ritmo è l’elemento centrale e generatore dello sviluppo dei lunghi brani, lacerti di un processo autogenerante e mai concluso, anche quando l’ascolto ha termine. E’ musica nera, funky, contemporanea ed arcana al tempo stesso. Il disco, che ottiene un grande successo di pubblico e divide inizialmente la critica, segna l’ultimo, fondamentale atto del sodalizio fra Miles e Shorter, che in breve metterà a frutto queste ultime, preziose esperienze nell’avventura Weather Report.