L’avvio è compatto e intricato al tempo stesso: memore della lezione crimsoniana, Mark Wingfield fraseggia con libertà, chiarezza di idee e padronanza dando corpo a Mars Saffron, con il sostegno massiccio e lineare della sezione ritmica, affidata ai solidi, seppure non noti ai più, Jaron Stavi al basso (già con Robert Wyatt e David Gilmour, fra gli altri) e Asaf Sirkis alla batteria (nel suo CV, mantendendosi in tema, collaborazioni con John Abercrombie e Larry Coryell).
Il disco continua mantenendo sempre desta l’attenzione, lo stile chitarristico del leader è ovviamente frutto di una discendenza che si può individuare, procedendo nell’ascolto, in un’area che passa da Fripp a Holdsworth a Miller a Rypdal (giusto per individuare delle coordinate), ma la voce strumentale ha una sua tecnica e mira a lasciare la propria impronta, non spreca energia alla ricerca del facile effetto o del virtuosismo sterile, centellina le note rendendole funzionali al percorso sonoro, che mantiene equilibrio e spazio fra suono e silenzio, privilegiando tempi medio-lenti per buona parte del programma.
I momenti a più alta energia si ritrovano in Voltaic, episodio a maggior minutaggio del disco, con annessa “perdita di controllo” nelle fasi conclusive e successivo rientro nei ranghi. Interessante anche la successiva Summer’s Night Story, dove hanno spazio per mettersi in primo piano anche gli altri due lati del triangolo: particolarmente efficace il solo di Sirkis, con un uso sapiente e insolito dei piatti.
Un disco introspettivo, introverso, interessante.