Due ristampe che ci riportano a metà degli anni ’90, e danno la possibilità di (ri)ascoltare un Allan Holdsworth al meglio della forma. “Hard Hat Area” risale al 1993, ed è l’ottava prova discografica da leader per il virtuoso di Bradford. Il lavoro consiste di brani già rodati in tour: rispetto ai dischi precedenti, quindi, meno uso di sovraincisioni, e gran parte del materiale registrato “everything together in the studio”. La band è di alto livello, e mette subito in chiaro la sua forza con Ruhkukah, con il drumming di Gary Husband che eguaglia per fantasia e libertà le prove del miglior Bill Bruford, e l’inconfondibile tocco di Allan che, coerente e lineare, riesce a mantenere spazioso il fraseggio nonostante l’incredibile velocità esecutiva. Il disco mantiene la sua intensità per l’intero minutaggio, ritagliando opportuno spazio anche per le tastiere di Steve Hunt e il basso di Skuli Sverrison, come in Low Levels, High Stakes e House of Mirrors, i due episodi a più ampio respiro, su tempi più dilatati. Pur trattandosi di un lavoro di una ventina di anni fa, sono rari i momenti in cui si avverte questo gap, come nella title-track, dove i timbri in avvio e l’andamento meccanico delle tastiere suonano invero un po’ datati. Peccato veniale, ovviamente: nel complesso è davvero un gran bel disco.
Tre anni dopo, il successivo “None To Soon” vede il nostro cimentarsi, per sei brani sui nove complessivi, con celebrati standard jazzistici. La line-up è totalmente cambiata e un ruolo importante è svolto dal tastierista Gordon Beck, arrangiatore e protagonista di alcuni spazi solistici. Ma il ruolo del trio resta fondamentalmente di sostegno, e ovviamente il cambio di passo è nettamente percettibile quando il pallino passa nelle mani di Holdsworth, che centellina (a tratti anche troppo…) gli interventi. Pur mantenendo i suoi stilemi, Allan si cala con deferente rispetto nelle interpretazioni di questi classici, e del resto, visto il calibro delle firme selezionate (Coltrane, Henderson, Evans e via dicendo…) la scelta sembra invero la più opportuna. Ne risulta quindi una lettura fedele e al tempo stesso altamente creativa e personale. Assolutamente strepitosi i suoi assolo in How Deep Is The Ocean, nella delicata Nuages di Django Reinhardt, in Inner Urge, e nell’iniziale esplosiva Countdown, inspiegabilmente sfumata troppo presto, mentre sembrava che il manico stesse letteralmente per prendere fuoco… A completare la scaletta, due originali di Beck ed una versione della beatlesiana Norwegian Wood, unica scelta che lascia perplessi: nella sua disarmante linearità il pezzo ci appare fuori dal contesto, un momento di debolezza in una prova per il resto ottima, che rimane a tutt’oggi unica nella discografia del chitarrista, per la scelta del repertorio jazzistico in senso puro.
Opportunamente rimasterizzati, questi due CD dimostrano ancora una volta che Allan Holdsworth merita di essere collocato nel gotha dei chitarristi contemporanei di area jazz-rock, insieme ai major-distributed Pat Metheny, John Scofield, Bill Frisell…. Una menzione speciale in tal senso al prezioso e ostinato lavoro di Leo Pavkovic: sappiamo che sono in cantiere altre ristampe del chitarrista inglese, meritoria operazione per far conoscere anche alle ultime generazioni, e nella maniera più completa, l’assoluta qualità di questo talentoso interprete delle sei corde.
1. Prelude (1:35)
2. Ruhkukah (5:34)
3. Low Levels, High Stakes (9:05)
4. Hard Hat Area (6::06)
5. Tullio (6:02)
6. House Of Mirrors (7:47)
7. Postlude (5:28)
ALLAN HOLDSWORTH: guitars, synthaxe
STEVE HUNT: keyboards
SKULI SVERRISSON: bass
GARY HUSBAND: drums
2. Nuages (5:40)
3. How Deep is the Ocean (5:29)
4. Isotope (5:41)
5. None Too Soon Pt. I / Interlude / None Too Soon Pt. II (7:42)
6. Norwegian Wood (5:55)
7. Very Early (7:40)
8. San Marcos (3:22)
9. Inner Urge (6:15)
GORDON BECK: keyboards
GARY WILLIS: bass
KIRK COVINGTON: drums