La conclusione della grande parabola creativa che va sotto il nome Weather Report, avvenuta nel 1986 con la pubblicazione dell’atto finale This is This, apre per Wayne Shorter un periodo di transizione, meno felice e rilevante rispetto alla stagione appena terminata. Dopo tre dischi interlocutori per la Columbia (l’ultimo è
Joy Rider, edito nel 1988), incisi probabilmente più per esigenze contrattuali che creative, nei successivi sei anni il musicista resta praticamente in silenzio.
Il momento di svolta è il 1994, quando avviene il passaggio alla Verve. High Life è il primo disco con la nuova etichetta: Wayne si avvale della collaborazione di Marcus Miller, Rachel Z e David Gilmore per confezionare un prodotto nel quale è evidente soprattutto l’apporto del grande bassista elettrico, che giocò un ruolo fondamentale anche nella carriera dell’ultimo Miles Davis (un titolo per tutti, Tutu).
A seguito di questa uscita, riprende anche l’attività concertistica; fra il 1995 e il 1996, una serie di organici variabili con i quali il nostro mette a punto progressivamente l’impianto e la qualità del nuovo corso. Col senno di poi, una sorta di laboratorio/incubatore che porterà alla luce, qualche anno dopo, l’attuale e strepitoso quartetto. Il 1996 resta purtroppo da ricordare anche per la tragica scomparsa della moglie di Shorter, Ana Maria, morta in un incidente aereo.
Nel 1997 prende corpo l’ennesima collaborazione al di fuori dell’ambito jazzistico, tema ricorrente nella carriera del sassofonista (da menzionare, fra le “strane coppie” più riuscite in anni precedenti, quella con Joni Mitchell, con Pino Daniele e con Carlos Santana); stavolta l’occasione si presenta con i Rolling Stones, per l’uscita di Bridges to Babylon. Nello stesso anno, tappa ben più importante è 1+1, intimistico lavoro in duo con Herbie Hancock: il riuscito (re)incontro darà vita ad un vero e proprio live tour, protrattosi fino al 1998.
La collaborazione alla discografia del pianista continua anche negli anni a venire, con il sax di Wayne a fornire il suo contributo in altri due album: Gershwin’s world, sempre nel 1998, e Future 2 Future tre anni dopo. Nello stesso 2001 un ulteriore incontro con Marcus Miller per la realizzazione di M2, a firma del bassista, e infine la svolta che riporterà il maestro di Newark ai livelli di eccellenza che gli competono, con la definitiva istituzione del Wayne Shorter Acoustic Quartet.
La line-up vede al piano il panamense Danilo Perez, tocco nitido e personale, elevato livello di concentrazione e intensità esecutiva; al contrabbasso John Patitucci, fra i più spettacolari virtuosi dello strumento, che trova in questo ensemble una definitiva consacrazione come musicista a tutto tondo, superando alcune concessioni al mero tecnicismo che avevano caratterizzato la sua precedente produzione; alla batteria l’ottimo Brian Blade, giunto ai territori jazzistici dopo aver suonato in ambiti assai diversi, in prevalenza pop e country music (collaborazioni con Bob Dylan, Emmylou Harris e la già citata Joni Mitchell): precisione, fantasia e personalità nel dettare i cambi di tempo e di atmosfera le sue peculiari prerogative, una voce freschissima e originale a completare l’alchimia di questo gruppo.
Numerose le performance live memorabili per il telepatico interplay, nonostante le difficoltà insite nel proporre una materia sonora minimale e densa al tempo stesso, ricca di emergenze del passato ma costantemente proiettata in avanti, alla ricerca di (altre) nuove direzioni. Una scelta ovviamente limitata e parziale di questo fecondo periodo è documentata in Footprints – Live, nel quale sono raccolte tracce registrate da diverse esibizioni, fra il 2001 e il 2002, in Francia, Spagna e Italia. Per la verità la musica del quartetto ha più le caratteristiche del continuum piuttosto che di un canonico repertorio; miglior testimonianza sarebbe stata forse la ripresa integrale di un singolo concerto, sacrificando in nome dell’unitarietà le eventuali pecche dell’una o dell’altra esecuzione.
Nel 2003 nuovo momento chiave, la pubblicazione di Alegria, un lavoro importante e ambizioso: Shorter, qui in veste di arrangiatore oltre che strumentista, non utilizza soltanto l’ormai rodata compagine a quattro, ma amplia l’organico in chiave orchestrale, con ampie sezioni di ottoni, ance ed archi. Nel complesso prendono parte al lavoro una trentina di musicisti (tra i quali spiccano Chris Potter e Brad Mehldau). Sorprendente il materiale proposto, in equilibrio fra composizioni originali e incursioni nel repertorio classico (una per tutte, la n. 5 delle Bachianas Brasileiras di Villa-Lobos). L’album riscuote i favori del pubblico e i riconoscimenti della critica, tra i quali un Grammy Award.
Ancora attività concertistica nel 2004, in prevalenza con l’Acoustic Quartet ed episodicamente con una formazione all-stars, che vede Shorter e Blade affiancati da Herbie Hancock e Dave Holland; immutato l’approccio, alta la qualità in entrambi i casi. Ulteriore ed importante testimonianza discografica, nel giugno 2005 l’uscita di un nuova raccolta live, Beyond The Sound Barrier, che documenta le esibizioni del quartetto stabile nel periodo Novembre 2002 – Aprile 2004.